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28 luglio 2008

2008-07-28 PATRIZIA GENTILINI :"DALL'UOMO CUSTODE DELLA VITA ALL'UOMO ARTEFICE DELLA DISTRUZIONE


Dall’uomo custode della vita all’uomo artefice della distruzione
"Dio pose l’uomo nel giardino dell’Eden perchè lo coltivasse e lo custodisse" (Gn 2,15)

martedì 18 marzo 2008 di Patrizia Gentilini

Questo versetto della Bibbia introduce nel modo migliore il significato di quanto vorrei comunicarvi con la mia relazione: "coltivare" e "custodire": sono infatti i due verbi che meglio esprimono e racchiudono, a mio giudizio, il complesso della relazione che l’uomo dovrebbe instaurare con la natura.

Coltivare per trarre nutrimento e sostegno, ma nel contempo custodire, ovvero rispettare e preservare i Beni della terra e della natura perché solo così la Vita può perpetuarsi. Purtroppo i tempi in cui stiamo vivendo sono segnati da una crisi ecologica che mai prima d’ora il genere umano si era trovato ad affrontare: aria, acqua, terra, i “Beni Comuni”che hanno permesso la nascita ed il mantenimento della vita fino ad ora sul nostro pianeta, sono ormai gravemente compromessi. Nel giro di pochissime generazioni abbiamo invaso il pianeta con composti chimici e sostanze che sono in grado di interferire col nostro stesso genoma, senza preoccuparci minimamente del loro destino finale. Si pensi ad es. che su 11.000.000 di sostanze chimiche conosciute, circa 100.000 sono prodotte su scala industriale, con un incremento di 1.000-2.000 nuove unità annue, senza che per la massima parte di esse siano stati esplorati preventivamente gli effetti né sull’ambiente, né tanto meno sulla salute. Sta di fatto che terreni agricoli, falde acquifere, gli stessi oceani sono ormai estesamente contaminati da composti chimici persistenti e bioaccumulabili, interi ecosistemi dai quali dipende la vita stessa del pianeta sono irrimediabilmente compromessi e centinaia di sostanze chimiche anche tossiche e pericolose si ritrovano stabilmente in ogni organismo vivente e, soprattutto purtroppo, nel sangue del cordone ombelicale dei neonati. Per la prima volta, da che l’uomo è sulla terra, la composizione chimica dell’atmosfera si è modificata nel corso di una sola generazione: l’aumento di CO2 è talmente rapido che oggi respiriamo un’aria qualitativamente diversa rispetto a quando siamo nati, senza contare il particolato e le miriadi di inquinanti che attraverso l’aria che respiriamo entrano nel nostro organismo. Viviamo in un mondo affamato di energia, di combustibili, di petrolio, ma sembra che ci dimentichiamo che il primo “combustibile” di cui tutti abbiamo bisogno è il cibo e che cibo, aria ed acqua pulita sono beni primari, non inesauribili ed inaccessibili alla maggior parte dell’umanità. Gli scenari attraverso cui gli inquinanti ambientali danneggiano la salute umana sono stati identificati con chiarezza e la più recente letteratura scientifica evidenzia come in particolare l’esposizione durante la vita fetale ad agenti tossici e nocivi, anche in piccolissime quantità, possa condizionare non solo la salute nell’infanzia, ma quello che sarà lo stato di salute per tutto il resto della vita, predisponendo alle malattie cronico/degenerative dal cancro alle patologie neurodegenerative, dai problemi del sistema immunitario e riproduttivo a problemi comportamentali e neuropsichici. Il prezzo che soprattutto l’infanzia sta pagando e che aumenterà nelle generazioni a venire è inaudito e la più recente letteratura al riguardo sarà brevemente passata in rassegna.

Alcune di queste sostanze poi - denominate “endocrine disruptor” - si sono dimostrate capaci di impedire la corretta trascrizione del DNA nelle cellule germinali con una potenziale alterazione del patrimonio genetico della nostra specie, con scenari di gravità inusitata, impensabili fino a pochi decenni fa e tali da giustificare gli allarmi sempre più preoccupati che da parte del mondo scientifico indipendente con sempre maggior forza si levano. E’ pertanto quanto meno singolare constatare che la sensibilità da parte delle maggiori istituzioni politiche, giuridiche, amministrative, ma anche religiose nei confronti della crisi ecologica in atto sia estremamente scarsa, tanto che i crimini ambientali raramente vengono percepiti e soprattutto puniti come tali. Valga un esempio per tutti: nel tristemente famoso triangolo siciliano di Augusta, Priolo, Melilli, in conseguenza di uno sviluppo industriale “selvaggio” e di un inquinamento specialmente dovuto a mercurio, non solo si registra un preoccupante aumento di infertilità, ma anche aumento di abortività e malformazioni; queste ultime sono passate dall’1.5% degli anni ‘80 al 5.5% nel 2000.

In un momento in cui nel nostro paese è in atto un acceso dibattito sul valore della vita, che spazia dall’eutanasia all’interruzione volontaria di gravidanza, sorge spontanea la domanda se non è forse altrettanto moralmente colpevole chi causa l’interruzione della vita alterando irrimediabilmente, l’ambiente in cui questa viene a svilupparsi, che chi singolarmente decide di farlo, indotto magari da situazioni contingenti e/o sofferenze che nessuno può presumere di conoscere. Su questi problemi però mai si sentono levarsi le voci autorevoli che pure si levano costantemente per rimettere in discussione, ad es., la legge 194.

Nell’avviarmi alle conclusioni di questo intervento spero mi sia permesso dare un taglio un pò particolare facendovi partecipi di un mio percorso personale: anche perché non ho fatto studi specifici di bioetica, sono semplicemente un medico che ha lavorato per più di 30 anni in un reparto di Oncologia e vorrei offrirvi le molte domande e le poche risposte che sono riuscita a darmi, sperando di suscitare almeno degli spunti di riflessione. Ecco, la prima e più inquietante domanda che mi pongo è se la sofferenza, la disperazione, le lacrime - quelle versate e quelle nascoste - dei miei pazienti, delle mogli, dei mariti, dei figli e dei genitori, di tutti coloro con i quali la mia vita in questi 30 anni di lavoro si è intrecciata erano davvero “un giusto prezzo” da pagare sull’altare del “progresso”. Perché tanto dolore? Perché tante vite sospese o per sempre spezzate? Davvero tutto quanto ho toccato ogni giorno, per tanti anni e che per sempre mi porterò dentro era ineluttabile? Davvero la ricerca e le terapie sempre più mirate ed “intelligenti” che ci vengono costantemente sbandierate come soluzione risolveranno il problema del cancro? Od ancora una volta abbiamo imboccato la strada sbagliata e pensando di arrivare alla meta in realtà ce ne allontaniamo sempre più?

Ecco, scusatemi, io sono arrivata alla conclusione che abbiamo sbagliato, non siamo sulla strada giusta e prima lo capiamo ed invertiamo la rotta, prima faremo a ritrovare il bandolo della matassa.
Perché, con tanta amarezza credetemi, dico questo? Lo dico da quando, ad es., ho “scoperto” che sir Richard Doll, lo scienziato che trenta anni fa attribuì a cause ambientali solo il 2% dei tumori, (percentuale tutt’oggi viene ritenuta attendibile dalla scienza “ufficiale”) era sul libro paga della Monsanto, ma non solo, era pagato in percentuale in base alla quantità di sostanze chimiche annualmente prodotte da tutta l’industria chimica mondiale e sminuì quindi i rischi correlati al cloruro di vinile monomero o all’amianto! Capite bene che i miei dubbi sulla “indipendenza” e “neutralità” della scienza si sono fatti sempre più consistenti e si sono poi inesorabilmente consolidati quando ho conosciuto e letto i libri di Lorenzo Tomatis. “Quando mi sono lasciato comprare?

Quando ho capito che la ricerca è al servizio del potere e che il ricercatore è un’oca che produce uova d’oro e che quell’oro andava tutto sulla tavola di chi comanda”: queste sono le parole di un medico riportate nell’ultimo suo libro autobiografico di Tomatis, Il Fuoriuscito
. Lorenzo Tomatis. è stato un ricercatore in campo oncologico di fama mondiale che, negli anni in cui ha diretto la IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro), pose le basi scientifiche e metodologiche della cancerogenesi, identificando e classificando gli agenti inquinanti e le loro conseguenze per la salute umana, difendendo strenuamente il ruolo della Prevenzione Primaria, ovvero la tutela della salute attraverso la riduzione dell’esposizione alle sostanze nocive che - come lui diceva - non smettono di essere tali una volta che escono dalle fabbriche o sotto latitudini diverse

Mi sono così convinta che una “scienza” per la quale un veleno non è mai abbastanza veleno per essere dichiarato tale, una medicina per la quale i morti che si contano non sono mai abbastanza per decidersi ad affermare che è il caso di prendere provvedimenti, non sono dalla parte dell’Uomo e della Vita.
D’altro canto mai come oggi la scienza e la tecnica hanno fatto passi da gigante , ma mai come oggi povertà, disparità, ingiustizia, guerra e violenza sono in aumento. Basti pensare che ai giorni nostri l’11% della popolazione mondiale consuma l’88% delle risorse e stiamo divorando così voracemente i beni della terra che non solo li sottraiamo ad altri popoli, ma addirittura mettiamo a rischio la salute e la sopravvivenza dei nostri stessi figli. Cosa che è ancor più grave, al di là degli allarmi lanciati quasi come scongiuri che ritroviamo a scadenze regolari sui media, non sembriamo neanche prendere consapevolezza dei problemi, come i passeggeri del Titanic che mentre la nave affondava continuavano a ballare…. Come possiamo pensare di trovare rimedi ai nostri mali se neanche riconosciamo di averli? Come è possibile tutto questo? Perché invece di crescere in equità, pace, salute, giustizia, siamo andati nella direzione opposta? Come è possibile che siamo ormai così ciechi da non vedere l’abisso in cui stiamo precipitando? Credo nessun cittadino possa sottrarsi a questi interrogativi, e men che meno i Medici, soprattutto ora alla luce dell’articolo 5 del loro Codice Deontologico. Tale articolo letteralmente recita: “Il Medico è tenuto a considerare l’ambiente nel quale l’uomo vive e lavora quale fondamentale determinante della salute dei cittadini [… ] il Medico è tenuto a promuovere una cultura civile tesa all’utilizzo appropriato delle risorse naturali, anche allo scopo di garantire alle future generazioni la fruizione di un ambiente vivibile…”.
In definitiva credo che solo prendendo pienamente coscienza delle tragedie del nostro tempo, capendo che non ci può essere una salvezza individuale, ma solo collettiva, perché anche la difesa di un bene individuale quale la salute del singolo passa attraverso la difesa di Beni Comuni quali aria, acqua, terra, cibo, ci decidiamo finalmente ad abbandonare il modello neoliberista, davvero ormai suicida, di uno sviluppo fondato unicamente sul profitto. Solo così potremo rifondare radicalmente le basi della nostra convivenza su principi di equità e giustizia, riconciliarci con la Natura e con i nostri simili, tornare degni del nostro essere Uomini.

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