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21 novembre 2009

2009/11/21Brindisi:Gazebo del comitato “No al Carbone” / Cairo: oggi l'inaugurazione del parco eolico Fera

Tratto da Brindisi Sera

Gazebo del comitato “No al Carbone” in Piazza Vittoria

In un periodo in cui si stanno prendendo decisioni cruciali per il presente e per il futuro della città di Brindisi e di tutto il suo territorio, il Comitato “No al Carbone" è ben consapevole dell' importanza dell'informazione, del confronto e della sensibilizzazione riguardo al tema attualissimo dell'impatto delle centrali a carbone sul nostro territorio e sulla salute dei cittadini.

Per questo motivo informiamo tutta la cittadinanza e non solo, che è stato allestito un gazebo/presidio permanente di informazione e sensibilizzazione in Piazza Vittoria, aperto ogni giorno dalle 18 alle 21 che ha come obiettivi quelli di:

- Discutere, informare, mostrare dati,video, condividere testimonianze ed esperienze

- Raccogliere firme per inoltrare richiesta alla Procura della Repubblica di Brindisi
Per l'apertura un indagine volta a verificare il legame fra l'attività delle centrali a carbone e i danni ambientali e sanitari avuti dal nostro territorio.
Il Comitato invita tutti ad una partecipazione attiva, consapevole e massiccia ,per dimostrare a chi sta decidendo in questi mesi il nostro futuro che a Brindisi è arrivato davvero il MOMENTO DI CAMBIARE NON SOLO A PAROLE,di rispettare chi in questo territorio ci vive, di credere perseguire ed attuare nei fatti un modello di sviluppo diverso!
Tutti insieme consapevoli e informati difendiamo il nostro futuro e prepariamoci per la grande manifestazione che si terrà a Brindisi nel mese di Dicembre in prossimità delle festività natalizie!



Cairo: oggi l'inaugurazione del parco eolico Fera

Il più grande parco eolico della Liguria è pronto ad aprire i battenti a Cairo Montenotte, in Valbormida a cura di Fera. Gli impianti saranno inaugurati oggi dal presidente della Regione Liguria Claudio Burlando. La produzione annua stimata del parco corrisponde a circa 10.000 MWh: stando ai rilevamenti del GRTN (Gestore Rete di Trasmissione Nazionale) il parco sarà in grado di soddisfare quasi completamente il fabbisogno energetico dell’intero Comune di Cairo Montenotte, che conta circa 13.000 abitanti.
"Il Comune di Cairo Montenotte, grazie al parco eolico “Valbormida”, contribuisce attivamente al rispetto del Protocollo di Kyoto e costituisce un esempio virtuoso di sostenibilità energetica", fanno sapere da Fera che ha realizzato l'impianto.

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Tratto da "Terra"
Clima, stop al carbone o sarà aumento di 5 gradi

RAPPORTO. Un team internazionale di ricercatori lancia l’allarme: l’ecosistema rischia il collasso. «La Conferenza di Copenaghen è l’ultima chance».
Le temperature globali potrebbero aumentare di ben 6 gradi centigradi per la fine di questo secolo. è l’allarme lanciato da un team internazionale di ricercatori, capeggiato dall’università della East Anglia e dal British Antarctic survey, parte del “Global carbon project”, un panel di studiosi che, dal 2001, si occupa del ciclo del carbone con l’obiettivo di mappare l’interazione tra il gradiente umano e fisico nell’ambiente. Le conclusioni della ricerca sono state appena pubblicate sulla rivista scientifica Natural Geoscience e si candidano a rappresentare uno degli standard più affidabili per i prossimi studi, raccogliendo dati degli ultimi cinquant’anni.

Uno degli aspetti più interessanti sottolineati dagli studiosi è che, nell’analizzare le proiezioni delle emissioni, bisogna tener conto della capacità naturale dell’ecosistema di assorbirle; ed è proprio questa facoltà che sta venendo meno, rappresentando così un effetto moltiplicatore per l’inquinamento. Negli ultimi cinquant’anni la percentuale di emissioni di CO2 rimasta nell’atmosfera al netto di tale assorbimento naturale è aumentata del 5%; si è passati da una traccia di gas serra del 40% a una del 45%. La performance declinante dei filtri naturali, presenti sulla terra e sul mare è, secondo i ricercatori, da imputarsi al cambiamento climatico prodotto dall’aumento di emissioni registrate negli ultimi anni.

Un vero circolo vizioso da cui potrebbe essere impossibile uscire, a meno che i decisori globali non imbocchino convintamente la strada della riduzione delle emissioni inquinanti. Gli studiosi, in particolare, si concentrano sul carbone il cui uso ha ormai superato il petrolio. Le emissioni di gas serra legate a questo combustibile prodotte dai Paesi in via di sviluppo sono, infatti, maggiori di quelle dei Paesi più ricchi. Secondo lo studio, dal 2000 al 2008 si è registrato un aumento delle emissioni da carburante fossile del 29%. Corinne Le Quéré, responsabile del progetto, però, non vuole sembrare catastrofista. Gli studiosi hanno solo descritto uno scenario probabile. L’esperta ha spiegato come solo attraverso l’adozione di un principio di precauzione che imponga limiti alle emissioni si potrà verificare quanto la diminuzione dei sistemi di filtraggio naturale sia legata all’inquinamento.

I ricercatori hanno dimostrato incontrovertibilmente come le emissioni di CO2 da carbone siano, a oggi, sempre aumentate. Dal 1990 al 2008 si è registrato un aumento del 41%, passando a una crescita media annua del 3,4% nel periodo 2000-2008, rispetto alla media dell’1 per cento degli anni Novanta. Gli aumenti delle emissioni, peraltro, si registrano anche a partire dal cambiamento delle destinazioni d’uso della terra e con l’aumento degli scambi globali con i Paesi in via di sviluppo. Se lo scenario tratteggiato si dovesse confermare, l’aumento di 5-6 gradi centigradi potrebbe innescare una cascata di effetti negativi difficilmente controllabile.

Per disinnescare il pericolo, bisognerebbe limitare l’aumento della temperatura a soli 2 gradi in più rispetto alla società preindustriale e portare le emissioni di CO2 a una tonnellata pro capite entro il 2050. Per rendere l’idea dello sforzo che ci attende, va rimarcato che, oggi, gli Stati Uniti si attestano su 19,9 tonnellate e l’Europa su circa la metà. «La Conferenza di Copenaghen è l’ultima chance», ammonisce Le Quéré. «Se gli impegni non verranno rispettati, ci incammineremmo verso un aumento di 5-6 gradi».
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Tratto da Left
Di carbone e di altre sciocchezze

di Emanuele Bonpan
Dimentichiamoci il carbone nero ed economico che la Befana era solita a portare ai bambini cattivi..... Quello che gli analisti finanziari non dicono è quanto carbone sia rimasto e come le riserve influenzeranno il prezzo nei prossimi anni. Di fossile da estrarre, in realtà, non ce n’è poi così tanto. Le due principali economie mondiali, Usa e Cina, basano la produzione di energia elettrica sull’impiego del carbone, per il 55 per cento la prima, per il 70 per cento la seconda, e detengono rispettivamente il 27 e il 12,5 per cento delle riserve mondiali. La quantità di risorsa immagazzinata, però, si basa su calcoli generici vecchi di 40 anni che stimano il rapporto tra riserve e produzione (R/P) sui 255 anni per gli Stati Uniti e sui 120 per la Cina.

«Nessuno considera che, come il petrolio, anche il carbone sta raggiungendo il picco di produzione» spiega Richard Heinberg, uno dei più grandi esperti sullo studio delle riserve di carbone, ricercatore del Post carbon institute. «Gli Usa raggiungeranno il coal peak tra il 2020 e il 2040, il resto del mondo nel 2035 e la Cina entro i prossimi 10 anni. Noi siamo stati confusi dai dati sulle risorse mondiali, a causa di stime inaccurate ma anche perché ci siamo basati sul rapporto tra produzione e riserve piuttosto che determinare il picco di produzione in relazione alla domanda». Il carbone estratto, dunque, presto diminuirà mentre la domanda continua a salire, creando quindi un paradosso di mercato. Vari analisti, tra cui la National academy of science, assestano la disponibilità globale (al ritmo di consumo attuale, senza calcolare il prevedibile aumento) su un periodo di 120 anni, un arco di tempo ben più breve di quanto precedentemente calcolato. Ciò significa che, nel breve termine, i prezzi potrebbero aumentare e la ricerca di nuovi filoni porterebbe a un’industria dell’estrazione sempre più invasiva. «I prezzi saranno ancora più volatili. Potrebbero aumentare del 400-500 per cento», continua Heinberg, «specie quando usciremo dalla crisi. Inoltre l’aumento di produzione di gas naturali, assieme ad altri fattori, renderebbe l’energia derivata dal carbone non competitiva nei confronti delle rinnovabili o di altre fonti, come il nucleare».

Se negli Stati Uniti il dibattito sulle riserve è aperto, in Cina i dati sono più incerti. Esistono 25mila miniere, alcune illegali e non sorvegliate, mentre la produzione non arriva ancora a soddisfare la domanda. Secondo un report di Energy watch group, la quantità di fossile immagazzinata dai cinesi è sovrastimata, e anche se le cifre divulgate dal governo - oltre 186 miliardi di tonnellate di carbone - fossero vere, il coal peak si sposterebbe di soli 15 anni. In attesa di conferme da parte dell’Usgs, il dipartimento di Geologia del governo americano e acquirente numero uno del carbone, l’industria energetica dà segni di nervosismo, visti i dubbi sulla capacità di garantire risorse sufficienti per le centrali elettriche, specie quelle di nuova realizzazione. «La Cina soffrirà più di altri per problemi di rifornimento. Già ora sta investendo ingenti risorse, in concorrenza con l’India, in Australia. Presto potrebbe scoprire che questo non basta più e il carbone da risorsa economica diverrebbe una risorsa strategica».

La scarsità di questo fossile potrebbe essere però una buona notizia per l’uomo e per l’ambiente.
In Cina ogni anno muoiono cinquemila minatori mentre sono incalcolabili i danni alla natura e alla salute derivanti dalla combustione nelle miniere e nelle centrali.
Negli Stati Uniti, invece, il settore estrattivo mountain top removal, ovvero basato sulla rimozione dell’intera cima collinare tramite esplosivo, ha causato decine di migliaia di morti. Vittime legate all’emissione di polveri sottili, all’inquinamento delle acque e ai conseguenti allagamenti derivanti dalla distruzione del suolo. Mary Anne Hitt della campagna Beyond coal spiega che «Il mountain top removal genera ottimi profitti, sostituisce il lavoro umano con l’esplosivo e rende più efficiente l’estrazione. In Virginia e Kentucky, però questo sistema ha devastato l’acqua, l’habitat delle foreste e molte comunità dei monti Appalachi, ridisegnandone completamente la topografia.

È indubbiamente la più seria delle catastrofi ambientali sul suolo americano. Lasciandosi alle spalle l’economia del carbone, tutto questo potrebbe cessare». Per difendersi dagli attacchi degli ambientalisti, l’industria ha introdotto il “carbone pulito”, un prodotto creato impiegando filtri e tecnologie speciali per eliminare l’emissione di particolato nell’atmosfera e per catturare le emissioni. «L’uso di queste tecnologie ha inquinato ancora di più l’acqua», chiarisce Mary Anne Hitt. «Parlare di carbone pulito è un controsenso: se si vuole tenere l’aria pulita si usa l’acqua, che così diventa inquinata. La componente “sporca” non può misteriosamente sparire». Anche Heinberg è scettico «Il clean coal non sarà mai una realtà. Le tecnologie - quando saranno completamente in funzione - faranno diventare ancora più cara l’elettricità derivata dal carbone, rendendo questa risorsa definitivamente svantaggiosa sul mercato».

Inquinante, dannoso, prossimo al “picco”, sempre più caro, osteggiato dagli ambientalisti e anche dall’amministrazione Obama: sembrerebbe evidente che il carbone è destinato a scomparire lentamente come risorsa energetica. Anche l’ultimo attacco di lobby potenti come American coalition for clean coal (che ha speso centinaia di milioni di dollari per promuovere il carbone), è sintomatico della paura di chi sta facendo di tutto per sopravvivere e lucrare nel breve periodo.
Anche se la sconfitta del carbone è lontana, visto che le risorse rinnovabili oggi coprono solo l’1 per cento della produzione totale, la crepa nel mercato è aperta ed è bene che gli Stati ponderino con attenzione le politiche in questo settore per evitare investimenti in un mercato che intravede il tramonto.

(Cristiano Salvi ha collaborato da Pechino)

23 ottobre 2009

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